Ore per stare insieme giocando con l’amicizia. Gruppi di incontro per bambini e bambine ‘siblings’

di Anna Capponi, Counselor professionale, supervisore e mediatrice.

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Tratto dall’intervento al convegno tenutosi il 22 e 23 febbraio 2013 su “L’aiuto efficace: cosa funziona con bambini e adolescenti. Processi, strategie e contesti del cambiamento in età evolutiva”, organizzato da ASPIC per la SCUOLA e promosso da ASPIC ARSA Associazione Ricerca Scientifica Applicata, e da UpASPIC – Università del Counseling e patrocinato dalla Provincia e dal Comune di Roma. Pubblicato sulla rivista “Integrazione nella psicoterapia e nel Counseling” n. 4 del 2014

Ogni esperienza di vita è unica, irripetibile e ognuno di noi custodisce dentro di sé ricordi felici e più o meno dolori legati alla propria storia. Il modo di porci nei riguardi della vita e di noi stessi è il frutto delle esperienze: l’infanzia non è quel paradiso inconsapevole che l’adulto immagina o che a volte crede di ricordare. Il rapporto tra fratelli è tra quelli che permangono: fratelli si è per sempre come nell’essere figli o genitori. E’ un’esperienza unica e averla vissuta o no fa una grossa differenza. In famiglie dove è presente un fratello disabile, il legame che si instaura tra genitori e figli e tra gli stessi fratelli presenta delle particolarità. Il fratello o la sorella di un bambino disabile vive in una famiglia in cui i bisogni e le attenzioni che quest’ultimo richiede è costante, emotivamente intenso e caratterizzato per i genitori da vissuti di ansia, dolore e incertezza. Cos’hanno in comune i ‘fratelli siblings’ (sorelle e fratelli di persone con disabilità), siamo in grado di comprendere cosa li accomuna nei vissuti, nel pensiero e nel comportamento, come si esprimono e come affrontano l’esperienza di dolore che vivono e che coinvolge le persone che più amano? E soprattutto, come poter consentire loro di esprimere pensieri, emozioni, considerazioni per prevenire il disagio o ulteriori sofferenze?

«La ricerca dimostra che avere un fratello o una sorella con disabilità è un evento ‘eccezionale’ che influenza profondamente lo sviluppo psicologico del bambino non disabile. Tuttavia, le conclusioni sono spesso contraddittorie. I bambini portatori di handicap possono dare un amore intenso ai fratelli, un amore che può anche creare tra di loro un’unione speciale. Questo può aiutare ambedue i fratelli ad ottenere dei risultati positivi nelle loro vite, ma può anche causare ansia, per esempio durante un momento di separazione» (Amelio C.: www.chiaraesimone.altervista.org/fratelliesorelle.html).

Nelle esperienze descritte da persone ormai adulte emerge che: questi bambini sono spesso preoccupati per la propria famiglia e per ciò che accade attorno a loro, chiedono molto a se stessi e pensano di non fare mai abbastanza; anche l’impegno emotivo che rivolgono verso i propri genitori e nei riguardi del fratello disabile è molto intenso. Sono in grado di sviluppare una sensibilità emotiva ed empatica profonda e fin da bambini dimostrano maggiori competenze prosociali.

Dal canto loro, i genitori affrontano situazioni di vita molto più complesse rispetto alle altre famiglie. Il figlio disabile può richiedere cure costanti, attenzioni, energia. Appesantiti da tante esigenze, dal proprio dolore, dalla preoccupazione per il futuro del figlio più ‘fragile’, non sempre si rendono conto dei rischi evolutivi a cui vanno incontro gli altri figli. Con modalità inconsapevoli, riversano sui figli normodatati desideri e speranze compensatorie per colmare la ferita narcisistica provocata dalla nascita di un figlio disabile, che influenza l’equilibrio emotivo e la formazione del carattere del bambino.

Le aspettative ne accentuano il carico emotivo e, per un bambino, non è semplice esprimere verbalmente bisogni ed emozioni, che se non accolte ed elaborate, si trasformano in forme di disagio ‘funzionali all’espressione del mal-essere’.

Nel progetto rivolto ai bambini e bambine ‘siblings’ portato avanti dai counselor della Cooperativa Aspic, in collaborazione con l’Associazione della Lega del Filo d’Oro, si è voluto dare una risposta concreta alla richiesta di alcuni genitori, preoccupati per i comportamenti dei propri figli ‘sibling’, offrendo loro la possibilità di condividere un percorso in cui fosse possibile l’espressione e l’elaborazione di sentimenti ed emozioni legate alle proprie esperienza di vita. La proposta di offrire uno spazio dedicato esclusivamente a loro ha suscitato nei bambini un certo stupore, a cui ha fatto seguito una bella dose di curiosità: infatti era insolito che gli venisse proposto di frequentare la sede dell’associazione per motivi che non riguardassero i fratelli o i loro genitori!

Dopo la curiosità è scattata la partecipazione e il coinvolgimento.

Nel rispetto dei propri tempi, ciascuno di loro ha avuto la possibilità di sentirsi coinvolto a partecipare senza pressione e in piena libertà. L’approccio del counseling umanistico integrato ha favorito un clima di rispetto, l’ascolto attivo, l’educazione socio affettiva, le tecniche creative hanno fatto sì che l’espressione di sofferenza e disagio nei riguardi dei fratelli disabili emergessero nel modo più naturale e spontaneo possibile. L’esperienza comune vissuta dai bambini e dalle bambine ha messo in luce i punti di forza del rapporto con la disabilità nella relazione tra fratelli, fatta di compartecipazione, di valori sociali che i bambini sviluppano naturalmente, anche attraverso l’impatto precoce con la sofferenza.

Durante i primi incontri, l’obiettivo iniziale è stato quello di formare il gruppo: conoscersi attraverso il gioco, porre domande sul lavoro prodotto e condiviso verbalmente da ciascuno.

Questo ha consentito di poter parlare di sé e di esprimere la propria individualità, saggiare la compatibilità reciproca e stringere alleanze.

I giochi scelti dal gruppo, con i quali aprire e chiudere ciascun incontro, hanno scandito i tempi tra il gioco libero e le esperienze guidate, in cui le diverse fasi si sono integrate con fluidità generando una sorta di ‘rituale’ nel quale muoversi e riconoscersi.

Le regole condivise hanno consentito di contenere, di riflettere su di sé, di discutere e rimodulare di volta in volta i comportamenti ‘accettabili’ da quelli non ‘accettati’ in un clima di scambio e confronto.

«… L’adozione di un codice di comportamento trasforma l’anarchia dell’infanzia in socialità, l’onnipotenza fantastica in calcolo dell’utile. Tutto questo non perché l’autorità degli adulti lo esiga ma perché è obiettivamente necessario altrimenti, come dicono i ragazzi, ‘non c’è partita’. ‘La norma non imposta dal di fuori (ma vissuta nella concretezza dei fatti) viene accettata anche da coloro che, nella scuola, si comportano da ribelli o ostentano una radicale estraneità’». (Vegetti Finzi S.: www.oocities.org/glodetti/ludus/note.html).

Risorsa indispensabile è stata la creatività, l’utilizzo della metafora, del gioco simbolico e della fantasia attraverso l’invenzione di storie e personaggi che, disegnati o drammatizzati, hanno consentito ai vissuti di emergere.

Vegetti Finzi si è così espressa: «Nel gioco il bambino esprime la sua fantasia, le sue pulsioni erotiche ed aggressive in modo spontaneo, poco attento alle reciprocità, comportandosi, per lo piu’, come se fosse solo in mezzo agli altri» (ibidem).

Mentre Massa, facendo riferimento a Piaget, dice: «… Gli è dunque indispensabile disporre di un settore di attività la cui motivazione non sia l’adattamento al reale, ma al contrario l’assimilazione del reale all’io, senza costruzioni né sanzioni; tale è il gioco simbolico che trasforma il reale per assimilazione ai bisogni dell’io, mentre limitazione è accomodamento» (ibidem).

Secondo Piaget e l’approccio psicoanalitico «… il gioco simbolico è elemento fondamentale dello sviluppo sia affettivo sia intellettivo del bambino. Proprio il manipolare attivamente gli elementi del reale, trascendendo le leggi e i limiti che lo formano consisterebbe l’accettazione e la conoscenza del piano di realtà e la sua differenziazione da quello della fantasia e della finzione. L’educazione all’aggressività sottolinea Massa e coll. non sta nella sua inibizione repressione e negazione, bensì nella possibilità di manifestarla e controllarla in forma non nociva ne generatrice di sensi di colpa. Inoltre la crescente aderenza alla realtà lo sviluppo della funzione comunicativa del linguaggio e il prevalere del pensiero logico rispetto a quello magico riducono progressivamente l’importanza e l’uso del gioco simbolico» (ibidem).

L’importanza delle emozioni, saperle riconoscere, imparare a esprimerle e a condividerle è la base del processo di crescita per una migliore qualità della vita. Avere l’opportunità di sostenere le proprie idee e confrontarle con gli altri rafforza l’io e consente di far emergere le aree di conflitto favorendo l’autostima.

Non per tutti esprimersi è stato facile; alcune emozioni, come imbarazzo e vergogna, hanno rappresentato un ostacolo per alcuni e limitato l’opportunità di parlare di sé, di esprimersi e condividere quanto stava avvenendo.

L’intervento con i genitori ha avuto quale obiettivo primario quello del sostegno alla genitorialità finalizzato al potenziamento delle competenze emotive personali, all’osservazione del proprio vissuto e in relazione ai figli. Attraverso la conoscenza delle tecniche dell’ascolto attivo e del messaggio Io, è stato possibile consentire loro di apprendere modalità comunicative più funzionali per accompagnare il processo di crescita e la relazione in famiglia. Gli incontri con i genitori hanno visto la quasi completa partecipazione dei papà. La loro presenza si è rivelata fondamentale; ha dato completezza al gruppo e fornito una maggiore ricchezza nello scambio delle esperienze (sono spesso le mamme più presenti e coinvolte nella relazione e nella cura dei figli mentre i padri spesso restano sullo sfondo).

Il modo di pensare e il vissuto è diverso tra padre e madre e lo scambio offre possibilità di riflessioni più ampie; consente di osservare e osservarsi, di rivedere comportamenti e reazioni automatiche più difficili da individuare in un gruppo omogeneo.

Per loro, il bisogno fondamentale era che i bambini riuscissero a parlare dei loro sentimenti, di aspetti che per un genitore di un bambino portatore di una disabilità può essere a volte difficile da ascoltare e accompagnare: la propria esperienza di dolore non favorisce l’accoglienza, si tende a deflettere o a evitare di parlarne.

Per noi conduttrici è stato quindi essenziale, come primo passo, far confrontare i genitori con le proprie emozioni, quelle che ciascuno riteneva più difficili da riconoscere e sostenere cercando di favorire una maggiore consapevolezza emotiva e cognitiva. Sono state fornite conoscenze sull’ascolto attivo e la sospensione del giudizio, sull’educazione socio affettiva per favorire il dialogo in famiglia. Sono state affrontate alcune tematiche legate ai passaggi evolutivi e condiviso le perplessità su comportamenti o atteggiamenti, non sempre per loro comprensibili, che avvengono in situazioni di vita quotidiana. Si è cercato di stimolare la conoscenza dei propri figli, scoprirli nella loro natura senza il ‘filtro limitante dell’idea’ che ciascun genitore si costruisce nel tempo, vederli con nuovi occhi al di là di una routine quotidiana riduttiva e limitante.

Nella conclusione del percorso, è stata fornita ai genitori una restituzione di quanto avvenuto con i bambini, seppur nel rispetto di riservatezza che era stata con essi concordata.

Il percorso, sia con i bambini che con i genitori, è stato fruttuoso e significativo per loro come per noi, sicuramente non completo. Abbiamo bisogno di creare una società inclusiva, rispettosa di tutte le diversità che caratterizzano l’esistenza umana. Educare all’integrazione i bambini ma soprattutto gli adulti, condividere le differenze di cui ciascuno di noi è portatore per una società più equa e ricca di valore è la via che aiuta a evitare ulteriore sofferenza e permette di arricchirsi: ‘contaminare e lasciarsi contaminare per divenire…’.

Bibliografia di approfondimento

  • Amelio C. (2002), Fin da piccolo un ruolo adulto, Notizie, 79, 26-28.
  • Giusti E., M. Locatelli M. (2007), L’Empatia integrata, Ed. Sovera, Roma.
  • Campbell J. (1996), Attività artistiche in gruppo, Ed. Erickson, Trento.

Sitografia

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